“Riccardo e Lucia” La Lotito e Stellaccio incantano al Perugini recensione foto con la News del VIDEO

Tratto da una storia vera..scritto e diretto da Claudia Lerro nipote dei protagonisti dell’epoca!

Quella che sto per raccontarvi è la storia di un tempo che è stato, una storia che nelle sere d’inverno ancora senza televisione, si usava ricordare e narrare attorno al braciere. Un amore, comune eppure con tratti di favola, di quelli che piacciono maggiormente alle ragazze che, soprattutto se a raccontarle è la nonna, si sa allora non sono mai del tutto romanzati.
Riccardo e Lucia. un dramma breve che con delicatezza fonde storia privata e storia nazionale nel secondo dopoguerra.
25 maggio 1946, Bari. Lucia, umile e bellissima figlia del macellaio di Corato, accetta dopo una corte insistente un appuntamento con Riccardo, candido laureando in Lettere del salernitano messo al confino dal regime fascista per le idee socialiste.

È l’incontro, mediante i due personaggi, di stili di vita, accenti, posizioni culturali e politiche, mondi differentissimi, eppure capaci di toccarsi e fondersi grazie all’amore. Per quante volte si interroghino i protagonisti, l’amore non trova definizione definitiva, o meglio fa capolino in parziali sfumature soggettive. Riccardo Lerro e sua moglie risultano però allo spettatore come i due componenti dell’acqua, i quali soli appaiono indistinti ma insieme costituiscono qualcosa, perché ciascuno dà all’altro ciò di cui ha bisogno. Più che dalle parole, questo connubio traspare – sulle note di canzoni lontane che profumano di tappezzerie di case antiche – dalla significativa scena del ballo: lui deve guidarla, lei deve lasciarsi andare, cosicché lui possa insegnarle a volare sul filo di un sogno, di un ideale, mentre tocca a lei ricondurlo ogni volta con i piedi per terra per le necessità del lavoro e le incombenze della famiglia.

Ivana Lotito e Pio Stellaccio. una coppia brillante, ognuno perfetto nella propria parte, l’una nelle acconciature che cambiano nel tempo e i proverbi dialettali ironici, l’altro ingiacchettato come tutti gli uomini di una volta e gli occhi luminosissimi, da sognatore. Insieme compongono una vita che costantemente si fa spazio tra le righe del sogno. Benché siano due sulla scena, si percepisce un’atmosfera tutt’intorno, laddove ci sono appena un albero e una panchina un paese interno si ricostruisce, da una scrivania si intuisce una casa, non ci sono i quattro bambini eppure se ne sentono i passi, perché Riccardo vede la bellezza, e noi insieme a lui. Si tratta di una scenografia in cui le ombre di una mano diventano serrande, un mantello si avvolge in gonna, il bucato steso diventa un teatrino, a testimoniare un’epoca in cui non c’era nulla eppure c’era tutto.
Con un incipit nel presente, lo spettacolo inizia con un categorico «Niente!». Davvero niente di quel passato neanche tanto lontano è sopravvissuto? Forse solo quella spasmodica difficoltà a trovare lavoro senza scendere a compromessi? No. Anche se non ha svolto la professione di maestro elementare, lui ha insegnato tutto a lei. E quando è mancato, ha eternato il suo insegnamento sulla carta affinché chi amava potesse leggere le parole e il mondo perfettamente, senza titubare. E ancora oggi sua nipote, qui regista, può attingere a quelle pagine e diffonderle facendone uno spettacolo lodevole .
É ardere una delle parole più ripetute nel copione, perché questa è una storia che fiammeggia di ideali (e non solo politici), che brilla di passione (e non solo amorosa). Questa è semplicemente una storia bella. E la bellezza funziona, sempre.
«Anche chi ha studiato Lettere si chiama Dottore?» chiede Lucia con ingenuo stupore all’appuntamento con il suo destino.
Sarebbe bello ci fossero dottori di lettere, capaci di curare con le parole, perché la parole custodiscono e diffondono la meraviglia delle cose.

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