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IL TELEFONO MAGICO di Andrea Sponticcia

Letto da Matteo Cortese

Le ombre che si allungavano tra i corridoi sembravano ricalcare la tristezza mal celata dei suoi genitori. I loro sguardi avevano ancora addosso il peso del vuoto che suo fratello Marco aveva lasciato. Era salito in cielo, gli avevano spiegato con la delicatezza dei grandi, ma era come se fosse ancora lì con loro. Michael però, di sette anni, non era della stessa idea. Pertanto, un giorno, chiese a suo padre di regalargli un

telefono magico in grado di chiamare Marco anche Lassù. Il padre, di buon cuore, ripescò allora un vecchio apparecchio dall’armadio delle cianfrusaglie e disse al piccolo di comporre il numero del paradiso dei bimbi. Quando Michael ebbe premuto l’ultimo tasto, l’uomo – da buon ventriloquo qual era – si mise a riprodurre la voce del figlio che gli era stato portato via. Nel farlo l’emozione lo tradì un paio di volte, ma Michael, entusiasta di poter parlare di nuovo col fratellino, non si accorse del trucco. Ascoltò con interesse tutto quello che l’altro aveva da dirgli. Finita la telefonata, il bambino corse a raccontare l’accaduto alla madre. Suo padre, invece, restò a osservare con malinconia l’antico telefono.
Sarebbe bellissimo se esistesse davvero un aggeggio capace di tanto, pensò.
Fece per metterlo via, ma un squillo lungo e stridulo lo bloccò dov’era. No, non se l’era immaginato. Era reale. Proveniva dall’apparecchio.
Ma se fosse possibile? Pensò mentre alzava la cornetta con mano tremante. Se bastasse davvero solo un vecchio telefono?
«Pronto?»

 

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