Il terremoto del 3 giugno 1781

Il terremoto del 3 giugno 1781. Documenti riguardanti Cagli ed Apecchio

di Stefano Lancioni

L’articolo è diviso in due parti: nella prima si ricordano danni e vittime provocati in varie zone della nostra provincia dal terremoto del 3 giugno 1781; nella seconda si presentano diversi documenti riguardanti Apecchio, uno dei centri più colpiti dalla scossa tellurica.

Nel tardo pomeriggio del 3 giugno 1781 giunsero a Pesaro allarmanti notizie riguardanti una forte scossa di terremoto che, nella mattinata dello stesso giorno, aveva colpito la città di Cagli. La mattina successiva Sua Eminenza, monsignor Carlo Livizzani, presidente della Legazione di Urbino, inviò alla volta di quella città il dottor Giuseppi Celi con alcuni uomini non solo per riconoscere e rilevare i danni medesimi ma per prendere altresì tutti que’ provvedimenti che il Celi avesse giudicato necessari ed opportuni in sì luttuose circostanze a sollievo di quella disgraziata popolazione. Costui inoltre riceveva l’ordine di fermarsi a Fossombrone per aver soldati e tutto quell’ajuto che occorresse in tal contingenza1.

I danni subiti dalla città di Cagli erano in effetti enormi. Buona parte degli edifici pubblici e privati era stata atterrata o danneggiata dalle scosse telluriche; decine erano le vittime ed i dispersi, buona parte dei quali ancora sotto le macerie della Cattedrale dove, al momento del terremoto (poco dopo le 11 del mattino) era radunata parte della popolazione per partecipare alla funzione religiosa del giorno di Pentecoste (ed era presente anche il vescovo cagliese, monsignor Ludovico Agostino Bertozzi di Fano)2.

La prima lettera giunta a Sua Eminenza dal podestà di Cagli, il dottor  Giuseppe Giusto Marforj, è del 5 giugno 1781:

Eccomi, Eccellenza Reverendissima, a funestarla con un avviso che deve certamente muovere a compassione le viscere amorose della somma bontà dell’Eminenza Vostra. La mattina di 3, giorno memorando per questa popolazione, circa le ore undici ed un quarto, e nel tempo appunto che ufficiava in coro questo zelantissimo Prelato con tutto il clero, restò per una fierissima scossa di tremuoto, rincalzata da altre consecutive, quasi del tutto demolita questa Cattedrale, ch’era il decoro di questa Città, e poco vi mancò che non vi restasse sotto le macerie il Prelato medesimo, giacché una sì infelice morte non la poterono sfuggire circa cento persone, che ivi ritrovavansi, 1Archivio di Stato di Pesaro (d’ora in poi ASP), Legazione di Urbino (d’ora in poi Leg.), Copialettere, ex 7242 (1780-81), pp. 114v-115r, n. 541, al dottor Giuseppe Celi, 4 giugno 1781.

2Lettera di monsignor Ludovico Agostino Bertozzi vescovo di Cagli all’eminentissimo signor cardinale Antonelli protettore di detta città sul terremoto ivi accaduto il 3 dello scorso giugno 1781, Venezia, 1782 (riproposta, con lo stesso titolo in “Opere di monsignor Alfonso Cingari bolognese vescovo di Cagli, vol. VI, Roma, 1827, pp. 139-160).

contandosi fra queste un canonico ed altri tre di grado nobile, non comprese altre cinquanta persone, che sono state vittima di un tanto castigo, abitanti nelle case rurali. Seguitano tuttavia a sentirsi de nuovi segni di tremuoti, per i quali sempre più stanno le fabbriche scosse e diroccate e, per dir molto in poco, cominciando dalle mura circondare della città, non vi è fabbrica, né muro che sia nel suo natural equilibrio. Qui si procura di dare tutti quei possibili provvedimenti che si credono adattabili alle presenti luttuose circostanze, ed in quest’oggi o indimani si terrà una congregazione per provvedere allo sfamo di questa popolazione afflittissima.
Questo gonfaloniere Agostino Luzj, preso dal giusto timore, se ne è partito unitamente colla sua famiglia in Gubbio, avendo lasciato nelle sue veci questo conte Camillo Berardi. Ne porgo di tutto ciò notizia all’Eminenza Vostra in quella guisa che posso, convenendomi scrivere in mezzo ad un campo, e sopra una sedia, e quivi supplicandola di sentire le savie  determinazione di Vostra Eminenza a consolazione di questa popolazione angustiata all’ultimo segno, passo con cenni della più perfetta e verace stima a farle umile profondissima riverenza
3.

Nei giorni successivi si precisarono le catastrofiche conseguenze dalla scossa tellurica (che per gli studiosi attuali fu, nella zona vicino all’epicentro, cioè quella del Monte Nerone, dell’intensità del IX-X grado della scala Mercalli). Come era apparso evidente sin dai primi giorni, a Cagli si ebbero enormi danni materiali ed un elevato numero di vittime (complessivamente in città si contarono settantacinque morti, sessantacinque dei quali estratti dalle rovine della cattedrale; si ebbero poi altri quattordici decessi in vari luoghi del contado)4: i cadaveri furono tumulati in tutta fretta in fosse comuni vicini al fiume, nel luogo in cui fu successivamente costruita la chiesetta di Sant’Emidio, dedicata al Santo protettore dai terremoti.
Particolarmente colpita fu anche la zona a ridosso di Monte Nerone: quel territorio (attuale comune di Piobbico) era a quel tempo frazionato in una serie di piccoli feudi. Nella contea di Pecorari erano crollate le volte delle due chiese di S. Silvestro e S. Donato: nella prima (appartenente alla diocesi di Urbino) si contarono sette vittime, nella seconda (diocesi di Cagli) morirono il parroco ed una sessantina di fedeli (quasi l’intera comunità parrocchiale)5. Gravissima la situazione anche nella 3ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del podestà Giuseppe Giusto Marforj, Cagli, 5 giugno 1781 4Bertozzi, Lettera (cit.), pp. 152 e 155. Nel contado di Cagli, come  specificato da un dettagliato documento (non datato, ma di poco successivo all’evento) presente in ASP, Leg., Terremoto, b. 1, in tutto si ebbero 14 persone decedute, sette delle quale decedute fuori diocesi, a Palcano (giurisdizione di Cantiano, diocesi di Città di Castello); le altre sette erano decedute a S. Vitale (un bambino), Massa (un uomo), Naro (tre bambini), San Fiorano (un bambino), S. Patrignano (unadonna). Le vittime del terremoto, pertanto, furono a Cagli (città e contado) complessivamente ottantanove (altre novanta vittime circa si ebbero negli altri territori della Diocesi di Cagli). La stima del podestà Giusto Marforj nella lettera sopra proposta (cento morti circa nella Cattedrale, altri cinquanta nel territorio), fatta prima del recupero di tutti i corpi, è arrotondata per eccesso.

5ASP, Leg., Terremoto, b. 1, Carda e suo territorio, stato di Urbino diocesi di Cagli. Elenco de danni causati dal tremuoto li 3 giugno1781 e  susseguenti scosse (non datata ma di poco posteriore all’evento): Nella chiesa Parrocchiale di San Donato dei Pecorari, diocesi di Cagli, distante d’Urbania sette miglia in circa, caduta la volta della Chiesa fatta di grosse pietre di antica struttura, vi rimasero oppresse collo stesso parroco, il quale stava celebrando la Santa Messa, ed avea fatto la consacrazione, altre sessantadue persone.
Anche una lettera del commissario di Urbania, contea di Piobbico (ventidue persone erano rimaste uccise dal crollo della Chiesa di Santo Stefano, diocesi di Urbino, compresi sette-otto bambini per il crollo della facciata della suddetta chiesa)6, in quella di Offredi (dodici persone decedute nel crollo della chiesa degli Acinelli, diocesi di Cagli)7 e nella contea di Roccaleonella (diocesi di Cagli, quattro o cinque morti)8.
Altri danni ed altre vittime in zone limitrofe: a Palcano di Cantiano (diocesi di Città di Castello) ventidue persone erano decedute per il crollo della chiesa di Santa Croce ed altre settanta erano state ferite più o meno gravemente9; Sant’Angelo in Vado (diocesi omonima) contava la morte di sette persone (ma altre erano, ad alcuni giorni dal sisma, ancora in pericolo di vita) per il crollo del soffitto della Chiesa delle monache di Santa  Caterina10; Carda (diocesi di Città di Castello) sei deceduti e molti feriti11.

Fra tante distruzioni, ad Apecchio, secondo la tradizione, ci furono gravi danni materiali ma nessuna perdita umana: questa è l’opinione, tra l’altro, del primo storico di quella cittadina, Angelo Ascani, che, ricordando il terribile terremoto, testualmente ricorda che quella terra “effettivamente subì ingenti danni nei caseggiati; ma nessuna persona perì”12.
Marino Gandini Petrucci, inviata a Sua Eminenza a ridosso della tragica scossa (non datata, ma pervenuta a Pesaro il 9 giugno 1781) menziona la tragedia:
una chiesa situata nella contea di questo conte Mattarozzi detta di San Donato, in atto che quel parroco celebrava la Santa Messa, restò tutta diroccata e, fino al giorno d’oggi, sono stati cavati numero 64 cadaveri compreso il parroco (ASP, Leg., Terremoto, b. 1). Qualche vittima in meno in Bertozzi, Lettera (cit.), p. 156:
La Chiesa poi di S. Donato colpì delle sue rovine intorno a cento persone, sessanta delle quali insieme col loro Parroco furono irreparabilmente morte. Da notare che, nel censimento del 1708, la rettoria di San Donato di Pecorari contava 74 anime (F. CORRIDORE, La popolazione dello Stato Romano, 1656-1901, Roma 1906, p. 164).

6ASP, Leg., Terremoto, b. 1, Carda e suo territorio (cit.). Altri due defunti in una casa rurale nella parrocchia di S. Pietro del Piobbico. Tra le rovine della chiesa di Santo Stefano furono recuperati due quadri d’altare in tela, di cui uno pregiatissimo del Barocci, rappresentante la Beatissima Vergine nel riposo durante la fuga in Egitto.

7Bertozzi, Lettera (cit.), p. 156: In quest’ultima (scil. chiesa dei santi Simone e Giuda di Acinelli) rimasero oppresse

moltissime persone, fra le quali il Parroco, che quantunque sepolto ne’ sassi fino a gola, ebbe il coraggio di confortare, come seppe il meglio, e di assistere nel loro passaggio all’eternità que’ meschini. Ma s’ebbe modo di scansar presto le macerie, e la più parte furono tratti fuori malconcj sì, ma vivi. Il Parroco anch’esso fu ritolto senza aver sofferto anch’esso gran male, e i morti non furono più di dodici.

8ASP, Leg., Terremoto, b. 1, Carda e suo territorio (cit.).

9ASP, Leg., Terremoto, b. 1, Elenco dei danneggiati dal terremoto di 3 giugno dell’anno scorso in Cantiano e suo territorio, allegata alla lettera dedl podestà Luigi Rossi, Cantiano, 29 aprile 1782.

10ASP, Leg., Terremoto, b. 1, Notizie più rimarchevoli di quanto è accaduto nella città di Sant’Angelo in Vado il giorni delli 3 giugno, e nel contado per le replicate scosse dell’orribile flagello del terremoto (non datato ma a ridosso degli avvenimenti). Altre informazioni in ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del podestà Tiberto Clementi, Sant’Angelo in Vado, 3 giugno 1781, ore 16 (logicamente inattendibile per le informazioni  provenienti dai luoghi più lontani (ipotizza una strage per il crollo della Chiesa di San Pietro in Metola: effettivamente la chiesa fu distrutta ma morì solo la sorella del parroco).

11ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera di Cesare Simoncini, capopriore di Carda, 7 giugno 1781: è stata atterrata maggior parte delle chiese e delle case; le altre conquassate e fesse e perciò inabitabili: tutti vivono nella campagna.
In tanta ruina però sono morte solo sei persone e molte ferite. In particolare tre morti erano stati rinvenuti sotto le rovine della chiesa di San Lorenzo della Carda; altre due in una casa rurale a S. Cristoforo della Carda: ASP, Leg., Terremoto, b. 1, Carda e suo territori (cit.).

12A. ASCANI, Apecchio contea degli Ubaldini, Città di Castello, 1977, p.

182. Continua quindi: “A questo terremoto è legata la devozione al SS. Crocifisso, la prodigiosa Immagine venerata dalla popolazione, allora sistemata nella chiesa sotterranea di S. Caterina. Là accorse la popolazione a supplicare clemenza dal buon Dio; la tradizione vuole che, in segno di protezione, il Crocifisso abbia mosso il capo in atto di assenso. Per questo la festa più grande del Comune continua a celebrarsi il 3 giugno d’ogni anno” Il particolare della mancanza di vittime in un sisma che ebbe catastrofiche conseguenze nei luoghi vicini è stato in seguito più volte ripreso, in buona fede, dalla stampa locale13 ed è presente anche su pubblicazioni di un certo pregio riguardanti la nostra provincia14. Ma l’informazione è errata: come
ha ricordato già nel 1992 monsignor Camillo Berliocchi, autore di una rigorosissima e documentata ricostruzione storica delle vicende apecchiesi, si contarono ad Apecchio diciassette vittime15, unnumero comunque inferiore, anche in rapporto al numero degli abitanti, a quello di diversi centri vicini16.

Per ricostruire con precisione i tragici fatti e per cercare di immaginare le difficoltà di quelle convulse giornate, si proporranno nel resto del presente articolo diversi documenti inediti rinvenuti nell’Archivio di Stato di Pesaro (corrispondenza da e per Apecchio), riguardanti sia il terremoto sia la successiva ricostruzione.
Il terremoto ad Apecchio
Nel Settecento ci furono diverse scosse telluriche che interessarono anche l’entroterra della nostra provincia. Un violento terremoto fu avvertito ad Apecchio il 2 ottobre 1752 e, nei giorni successivi, continuò lo “sciame sismico”, provocando danni alle abitazioni e al Palazzo Apostolico17. Tra il 1760 e il 1761, una serie di movimenti tellurici (sentitesi per 8 o 10 volte  dalli 21 ottobre 1760 a detto il 1 aprile scorso che fu l’ultimo più strepitoso degl’altri)18 provocarono inoltre non pochi danni allo stesso Palazzo Apostolico, che abbisognava di un immediato intervento di restauro.

La scossa del 1781, del IX-X grado della scala Mercalli, fu però  eccezionalmente distruttiva.

13Cito, ad esempio, l’articolo apparso sul quindicinale Tuttoflaminia, anno VI, n. 194 (15 giugno 2007), p. 11,

14D. SACCO, La provincia dei Centoborghi, vol. I: I borghi di rosa e di bianco, Villa Verucchio, 2006, p. 125:
“Apecchio… restò miracolosamente illesa…” (la protezione sembra riferirsi anche alla mancanza di danni materiali)

15C. BERLIOCCHI, Apecchio tra conti, duchi e prelati, s.l., 1992, p. 323, note 84-86:
– tre uomini morirono “sotto le ruine del Palazzo Apostolico”, cioè del Palazzo Ubaldini, contiguo alla PIeve: don Marco Galleani, di 66 anni; Luca detto Broda (78 anni) e il cancelliere Luigi Mancini;

– due uomini tra “le macerie della Pieve diroccata”: Vincenzo Collesi e Domenico Nicolucci (63 anni);

– tre donne (Isabella Nucci di 37 anni; Domenica Ventura, travolta con il figlioletto Angelo; Maria, moglie di

Girolamo di Pian del Vecchio, di 38 anni) e cinque bambini (Maria Domenica di Paolino del Piano, di 4 anni;

Angelo Ventura di 8 anni; Domenico Bonci di 2 anni; Maria Amantina di 3 anni; Maria Cattarina Ghigi di 3 mesi)

in abitazioni private o nelle strade di Apecchio;

– quattro persone (non vengono riportati i nomi) nei giorni successivi per traumi dovuti al terremoto.

16A queste vittime dovremmo aggiungerne qualche altra (ignoriamo il numero preciso), deceduta nelle comunità

annesse ad Apecchio: Montefiore, Pietragialla, Montevicino, Fagnille, Baciuccheto. Qualche mese dopo infatti la comunità di Apecchio richiese alle comunità annesse di partecipare a varie spese sostenute in occasione del terremoto, compresi gli otto scudi impiegati per dissotterrazione dei cadaveri. Le altre comunità però obiettarono che anche le comunità degl’oratori per loro disgrazia hanno avuto queste spese né avevano  chiesto ad Apecchio di concorrervi (ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 6, 1780-1789, lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio, 12 luglio 1782, memoriale anness0).

17ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 1, 1752-1754, lettera del podestà Ubaldo Giuntini, Apecchio, 7 ottobre 1752.

18ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), note allegate alla lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, Apecchio, 16 maggio 1761.

1) Il podestà19 da Sant’Angelo in Vado (6 giugno 1781)

Sua Eminenza fu informato dei danni provocati dal terremoto da una prima lettera del podestà di Apecchio, spedita da Sant’Angelo in Vado il 6 giugno 178120.

Eccellenza Reverendissima.

Il flagello della divina giustizia minacciato ed eseguito contro la povera terra di Apecchio e suo territorio col mezzo di un spaventevole e terribile terremoto, il quale sin dall’ore undici in circa della domenica scorsa solennità di Pentecoste atterrò in maniera la più violenta ed orribile case e chiese di tutta la terra e territorio senza rimanere né pur una illesa, e quel che è peggio con morte di molte persone sotto le macerie, e specialmente del povero mio cancelliere Mancini non per anche potuto rinvenire sotto le macerie di quel distrutto Palazzo, dalle quali ne uscii io stesso  miracolosamente colla mia famiglia, è motivo che mi trovo qui di  passaggio, essendo di là partito per scansare da tal terribile aspetto la mia moglie incinta, ed imminente a sgravarsi e condurla alla mia casa paterna, giacché, ancorché mitigasse la divina giustizia e cessasse un tal flagello, come sperasi, in tale giurisdizione non è possibile a rinvenire una casa da potersi riattare, nonché non guasta. Insomma l’eseguito castigo è certamente il più deplorabile e troppo difficile a descriversi colla penna, massime nelle circostanze presenti, che troppo offuscano e confondono la mente del povero scrivente. Per scansare quella povera gente dall’altro pericolo della fame, mentre non solo sono atterrati e distrutti li particolari magazzini, ma eziandio la pubblica annona, pubblici forni e molini, ne ho avanzato preghiera al governatore di Città di Castello, il quale ha fatto subito portare buona quantità di pane, e si esibisce somministrarmi  dell’altro ad ogni bisogno. Sono determinato alla più tardi domani tornarmene colà per far assistere quella povera gente, se cessa un tale infortunio per vedere se è possibile ricuperare qualche cosa in quelle macerie, e poscia mi farò un dovere venire in persona ad informare Vostra Eminenza Reverendissima, anche per averne gli opportuni comandi. Mi sono abboccato con questo podestà, quale mi ha esibito la campagna in segreto degl’ordini veneratissimi di Vostra Eminenza, la quale però ho creduto superfluo, mentre è troppo difficile che succedano disordini e latrocinii, essendo troppo difficile l’accesso a qualunque casa, restando il paese abbastanza guardato da quei esecutori.

Tanto ho creduto mio preciso dovere nel far a Vostra Eminenza un profondissimo inchino.

Sant’Angelo in Vado, 6 giugno 1781. Di Vostra Eminenza umilissimo, devotissimo, obbligatissimo servitore Ubaldo Gentili podestà.

19Il podestà era nominato dal Legato di Urbino e rappresentava il potere centrale nelle amministrazioni periferiche:
aveva compiti amministrativi, giudiziari e di controllo degli organi locali. Capo della comunità era invece il “gonfaloniere” (equivalente grosso modo al nostro sindaco).
20ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del podestà di Apecchio Ubaldo Gentili, Sant’Angelo in Vado, 6 giugno 1781.

Monsignor Livizzani rispose a questa missiva il giorno successivo21: Con sensibilissima commozione dell’animo nostro abbiamo rilevato dalla vostra i terribili effetti cagionati dal tremuoto di domenica scorsa in codesto luogo. Merita certamente quel maggior soccorso che possa apprestarsi la desolata popolazione. Voi, in vista della presente,  restituitevi alla residenza e prestate tutta l’assistenza assieme col magistrato, parroco ed altrui persone agl’infelici che ne abbisognano, implorando da Città di Castello e da luoghi circonvicini gli aiuti necessari, né vi movete per portarvi da noi a ragguagliarci, essendo troppo necessaria la vostra presenza costì, e basterà che ci avvisiate ciò che verrete discoprendo in appresso.

2) Il vicepodestà da Apecchio (7 giugno 1781)

Il podestà aveva lasciato come suo vice in apecchio il notaio Giovanni Timobelli, che così scrisse, nella stessa giornata del 7 giugno a Sua Eminenza, monsignor Carlo Livizzani22:
Eccellenza.
Incerto se dal signor podestà Gentili (che oppresso da paura e dalla consorte prossima al parto è fuggito per rifugiarsi in salvo in Sant’Angelo, lasciato me in suo luoco per gli affari d’uffizio) sia stato dato ragguaglio dell’infortunio massimo qua accaduto del terribile tremoto venuto il dì 3 corrente sull’ore undici in circa, quale oltre all’avere spianato da  fondamenti la Terra tutta, vi sono restati morti sette adulti, fra quali il cancelliere locale qui destinato da Vostra Eminenza, il di cui cadavere, ad onta delle diligenze usate paranco non trovasi, mi faccio carico  ragguagliarne io, non solo per adempiere agl’obblighi dell’uffizio, per scarsezza e confusione di soggetti appoggiatomi, ma, qualora l’umile mia giungesse per secondo avviso, servirà almeno per implorare in me la facoltà di promulgar bandi in nome dell’Eminenza Vostra per la provvista de viveri (rimasti i già fin da un tempo provvisti sotto le macerie, e ridotti i molini immacinanti, o con pericolo almeno), per far ritrovare li cadaveri rimasti sotto le macerie, avendone perciò incominciata l’opera, per far ricuperare le robbe più preziose de poveri rimaste sotto le macerie, far distribuire a credito o per carità i viveri a chi ne abbisogna, ed in specie a poverelli ridotti uniti a me ad abitare e morirsi di fame o d’altro infortunio in picciole capannelle composte di misere rame e foglie, a poter far tutto che l’Eminenza Vostra crederà necessario in simili casi e con mente chiara additare a me confuso, e quasi fuori del mondo per il timore e le brighe. Mi comanderà altresì a spese di chi debba farsi l’occorrente, e, se a spese pubbliche, da qual cassa debba estrarre l’occorrente denaro, trovandosi la cassa comunitativa in somma inopia.

21ASP, Leg., Copialettere, 7182 (1780-1781), al podestà di Apecchio, 7 giugno 1781.

22ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del vicepodestà di Apecchio Giovanni Timobelli, capanna d’Apecchio, 7 giugno 1781.

Li rimasti sotto le macerie, come dissi, sono, che seppiansi, in numero di sette gl’adulti, de quali se ne sono ritrovati due, e sei li piccoli, de quali se ne sono ritrovati quattro. Attenderò e mi farò pregio ubbidire i comandi veneratissimi di Vostra Eminenza, a cui mi glorio tutto tremante baciare la Sacra Veste.

Dalla capanna d’Apecchio, 7 giugno 1781

Dell’Eminenza Vostra umilissimo, devotissimo, obbligatissimo servitore il notajo Giovanni Timobelli vicepodestà

P.S. Mi riservo dare a suo tempo più distinta relazione dell’infortuno o sia del miracolo di salvazione de sudditi rimasti vivi ottenuto per intercessione di Maria Santissima ed un esatto conto del mio operato

3) Il podestà da Mercatello (9 giugno 1781)

Il Podestà tornò ad Apecchio l’8 giugno e vi rimase una mezz’ora. Dopo la quale scrisse la seguente

lettera a monsignor Livizzani23:

Eccellenza reverendissima.

A norma di quanto ripromisi a Vostra Eccellenza nella relazione delle presenti incessanti calamità, mi portai ieri in Apecchio ma per mio infortunio mi toccò dopo mezz’ora partirmene.

Giunto colà sentii l’impossibilità d’estrarre alcuni cadaveri esistenti sotto le macerie, e per toccarne con mano la verità volli andare in persona ove esistevano, da dove mi convenne partire spaventatissimo e per novo miracolo inoffeso, mentre una sensibile scossa fece cadere altre macerie, che spaventò tutti gl’astanti, che con sommo ammirazione rimasero  intatti, ma per altro tutti scoraggiati all’estremo, per non dire disperati, ed io risolsi partire giacché, quantunque generale in queste parti sia il castigo, pure per quella terra si rende troppo particolarizzato, ed assolutamente può dirsi un continuo moto, e sentosi le scosse più terribili d’altrove, siccome il  lagello ancora è stato di lunga assai maggiore degl’altri luoghi. Sentii la maggior parte di quei infelici abitanti risolutissimi a partirsene, se non altro perché già sentesi un ingratissimo fetore de sotterrati ma non sepolti cadaveri, e giudicasi che possa facilmente e tra poco contaminarsi l’aria, non essendo possibile levarli dalle macerie suddette, minacciando continuamente ruina le reliquie del prossimo Palazzo24.
Per quello poi che riguarda i viveri, di presente trovansi abbastanza provveduti di farina, recuperata da quelle case, oltre l’ajuto di Città di Castello, pronta a darli ogni parte de loro massarizie, ed altro esistente nelle fu loro abitazioni, e per ogni altro bisogno ho dato ordine che prendano il denaro da qualunque cassa, previa però sempre una nota fedele, e poscia me ne partii tanto più che per la prossima notte non potevo avere alcun ricovero,
23ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del podestà di Apecchio Ubaldo Gentili, Mercatello, 9 giugno 1781.

24Si tratta del Palazzo Apostolico (ex Palazzo Ubadlini), contiguo alla Chiesa di S. Martino.

angustissime essendo quelle poche trabacche che hanno fatto e mal sicure, per ovviare la minacciante pioggia, alla quale però e non ostante mi toccò soggiacere all’aria aperta unitamente con mio padre, un prete ed un pedone, che meco condussi per mia compagnia, mentre le continue scosse non davano coraggio d’andare al coperto sotto de sassi. Eccellenza  Reverendissima, non può mai immaginarsi quanta orribile sia il spettacolo se non è da chi può con propri occhi osservarlo, a segno tale che è quasi impossibile la restaurazione di tal Terra se non è almeno con quindicimila scudi di spesa. Questa mattina nel ritornarmene verso casa mi è stata ricapitata la veneratissima di Vostra Eminenza dei 7 corrente, la quale ho fatto giungere a quel Gonfaloniere ingiungendo l’esatta osservanza degli ordini in quella contenuta, ma non ho avuto cuore di rivoltare perché, oltre il concepito spavento, mi trovo ancora estenuato di tosse, essendo ormai otto notti che non si dorme, poco si mangia, e solo molto si beve, ed infiniti sono i sofferti strapazzi.

Certamente ne ho avuto e ne ho tutta la premura e di ciò l’Eminenza Vostra ne resti pur persuasa, mentre vi è unito anco il mio particolare interesse, ritenendo in quelle macerie buona parte delle mie robbe, senza speranza di più conseguirle, di mio notabile danno ascendente al valore di non indifferente somma, ma ad onta di tutto vorrei se potessi salvare la vita, della quale però ne è sempre l’Eminenza Vostra dispotico padrone, e tutte le volte che non resti persuasa delle dedotte ragioni son prontissimo a cimentarla ad ogni pericolo, gloriandomi d’essere suddito ed ufficiale ubbidientissimo e fedele. Attenderò qui ulteriori comandi di Vostra  Eminenza per esattamente eseguirli nel farle intanto un riverente inchino.

Mercatello, 9 giugno 1781.

Di Vostra Eccellenza reverendissima umilissimo, devotissimo, obbligtatissimo servitore Ubaldo

Gentili podestà d’Apecchio.

Piena di premura la lettera di Sua Eminenza, scritta diversi giorni dopo25, che invita il dottor Gentili a compiere il suo dovere e a sovvenire ai bisogni della popolazione26:
Quanto più grave è la sciagura degli infelici abitanti di Apecchio, di cui grandemente ne siamo noi penetrati, tanto più impegnar deve il vostro zelo in prestar loro quell’assistenza che attender devono dal loro giudice. Queste appunto sono le occasioni nelle quali un buon ufficiale sa farsi distinguere. Non vi perdete adunque di coraggio, tornate in Apecchio, troppo essendo necessaria la vostra presenza in sì dolorose circostanze. Invigilate che alla popolazione non manchi il necessario sostentamento, procurate, se è possibile, che prontamente siano tumulati i cadaveri di quelli che furono vittima del flagello, prescrivete fumigeri con sterpi di ginepro ed altri simili, onde così 25Il postiglione portava e raccoglieva la posta in Apecchio una volta la settimana; per casi di emergenza bisognava ricorrere ad un “espresso”, cioè ad un incaricato appositamente pagato che avrebbe materialmente consegnato al destinatario la corrispondenza.
Da questo momento in poi la corrispondenza con Pesaro segue  evidentemente la via ordinaria.

26ASP, Leg., Copialettere, 7182 (1780-81), al dottor Gentili podestà di Apecchio, 14 giugno 1781.

prevenire quelle più funeste conseguenze che dalle infette esalazioni derivar potrebbero alla pubblica salute, ed insomma date tutte quelle provvidenza che giudicarete opportune mentre, così facendo, adempirete al proprio dovere con piena nostra soddisfazione. E tanto eseguirete.

4) Il podestà da Mercatello (14 giugno 1781)

Il podestà Gentili fece un’altra apparizione in Apecchio il 12 giugno, informando successivamente monsignor Livizzani degli sviluppi della stiuazione27.

Eccellenza reverendissima.

In adempimento e bon servizio del mio impiego, martedì 12 corrente mi portai nuovamente in Apecchio, e ritrovai, grazie a Dio, in buona parte calmate le presenti calamità, mentre dopo domenica scorsa con minor frequenza si è fatto sentire il terremoto, e con altrettanto minor strepito. Continuasi a vivere con quell’istesso metodo che prescrissi fin dal primo giorno, e resta la popolazione abbastanza provveduta di vitto, e più comodamente giacché uno de molini ha già cominciato a lavorare. Si tenne una congregazione dove restarono eletti due deputati per pagare gl’operai per l’estrazione de cadaveri e robbe e fu stabilito prendere denaro dalla cassa dell’Abbondanza, essendo l’altre casse sprovviste d’avanzi, e di presente li rispettivi esattori non hanno esatto.

Si è conservato quasi tutto l’archivio, e segretaria ed anche bona parte della cancelleria. Come altresì altri cadaveri che sono stati seppelliti colle debite cautele, e solo restano di rinvenirsi altri tre, fra quali il cancelliere che si crede impossibile, mentre dopo d’esser venuto a pian terreno del Palazzo si è ancora sfondata una volta, e si crede ne sotterranei, dove da ogni parte ne viene vietato l’accesso, e però, fatte altre diligenze, e se mai riuscissero vane, ho dato ordine che vi buttino dell’acqua di calce viva28. Ho creduto anche bene ordinare che vengano abbruciate tutte le bestie rinvenute morte acciò non venga a contaminarsi l’aria. Resta solo che si trovi un fondo o si faccia un fagotto per comodo del macello […] e per questo ancora ne ho dato ordini pressante. Non mancarò quanto prima riportarmici per assistere con ogni attenzione, restando in mia mancanza costituto quell’arciprete; e di tutto ne renderò l’Eccellenza Vostra intesa. Tanto devo di presente nel rispettosamente segnare.

Mercatello, 14 giugno 1781

Di Vostra Eccellenza Reverendissima umilissimo, devotissimo, obbligatissimo servitore Ubaldo

Gentili podestà

27ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del podestà di Apecchio Ubaldo Gentili, Mercatello, 14 giugno 1781.

28Una lettera di Sua Eminenza dell’ottobre 1781 attesta che, a quella data, il corpo del povero cancelliere Mancini era stato (forse da qualche tempo) già ritrovato e che alle povere spoglie era stata data cristiana sepoltura: ASP, Leg.,

Copialettere, 7183 (1781-82), p. 29r, al podestà di Apecchio, 5 ottobre 1781.

La risposta di Sua Eminenza è del 21 giugno 1781 ed approva tutte le risoluzioni prese ad Apecchio fino a quel momento29:

Abbiamo gradito la pronta vostra ubbidienza nel restituirvi a codesto Uffizio. Troppo necessaria si rende la presenza del giudice in circostanze funeste, com’è quella di cui si tratta. Con egual soddisfazione abbiamo inteso che i molini siano già servibili, in guisa che gli abitanti possano provvedere la proprio bisogno. Approviamo intanto che si prende il denaro dalla casa dell’Annona per pagare le mercedi a coloro che si sono impiegati nell’estrarre i cadaveri rimasti sotto le macerie, ed altri, come pure tutte quelle ulteriori provvidenze da voi date su tal proposito,

rendendoci poi a suo tempo conto del risultato. E tanto eseguirete.

5) Il podestà da Mercatello (21 giugno 1781)

Nello stesso giorno in cui Sua Eminenza scriveva la lettera precedente, il podestà Gentili ne

scriveva un’altra per chiedere l’invio di periti muratori30.

Eccellenza Reverendissima.

In questo punto torno da Apecchio, dove mi son trattenuto tre giorni per servizio di quella

popolazione e dove questa mattina si è fatta una congregazione, nella quale si sono presi più

espedienti per le presenti luttuose circostanze, e fra gl’altri hanno incombenzato me di umilmente

supplicare Vostra Eminenza a volersi degnare far giungere in questa Terra due periti muratori ad

oggetto di ovviare maggiori disordini, giacché le reliquie di molte ruinate fabbriche minacciano

ruina a segno tale che non è possibile girare il paese, oltre che vorrebbero ricuperare la pubblica

campagna, che può ascendere al valore di circa scudi quattrocento romani, ed anche il pubblico

orologio, ma ciò non è possibile senza muratori ed un ingegnere quali in paese non sono, e dai

luoghi circonvicini non si ponno avere, perché Città di Castello ne ha bisogno per sé, lo stesso

Urbino, Urbania e Sant’Angelo, ed il Stato di Toscana non permette che escano. Ne avanzo

pertanto notizia a Vostra Eminenza acciò voglia degnarsi prenderne qualche compenso, nonché in

sfogo del mio dovere, assicurandola esser urgentissimo il bisogno, e le faccio un ossequioso

inchino.

Mercatello, 21 giugno 1781

Di Vostra Eminenza reverendissima umilissimo, devotissimo, ossequentissimo servitore Ubaldo

Gentili, podestà di Apecchio

La preghiera della comunità di Apecchio (21 giugno 1781) fu subito accolta e solo tre giorni dopo

così scriveva monsignor Livizzani31: A seconda del desiderio di codesta popolazione abbiamo già

29ASP, Leg., Copialettere, 7182 (1780-81), al podestà di Apecchio, 21 giugno 1781.

30ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del podestà di Apecchio Ubaldo Gentili, Mercatello, 21 giugno 1781.

31ASP, Leg., Copialettere, 7182 (1780-81), al podestà di Apecchio, 24 giugno 1781.

dati gli opportuni passi, mediante i quali sarà costì ne primi giorni della ventura settimana un

capomastro muratore con alcuni uomini per dar mano alle rovinate fabbriche, e far tutto ciò che

potrà occorrere per sicurezza comune. Intanto farete che dal Pubblico si elegga un deputato, dagli

ordini del quale colla vostra intelligenza debba lo stesso capomastro dipendere a scanso d’ogni

disordine e confusione. Farete ancora che, in questo mentre, si vadan provvedendo i legnami e

materiali che possono abbisognare, come pure si trovi l’abitazione per i suddetti operai, perché

sappiano al di loro arrivo dove andare; avvertendo che la medesima sia fornita di tre o quattro

letti e dell’altre cose necessarie.

Qualche giorno dopo Sua Eminenza annunciava la partenza del capomastro Giovanni Melchiorri da

Pesaro, di due suoi figli e di un tal Righetti, stabilendo anche spese di viaggio e mercede da

corrispondere da parte della Comunità per i loro servizi32.

Le perizie

La ricostruzione degli edifici danneggiati, soprattutto quelli abitativi, iniziò già nel successivo mese

di luglio (mentre continuavano a sentirsi le scosse di assestamento).

Il capomastro pesarese Melchiorri venne anche incaricato di effettuare le perizie su tutti i caseggiati

di Apecchio, civili e religiosi, pubblici e privati, danneggiati dal terremoto in vista dell’erogazione

di un apposito sussidio (vds. infra)33. In un primo momenti il Melchiorri certificò un danno

complessivo di 27.728 scudi34 ma poi intervenne il podestà che, non sappiamo per quale preciso

motivo, fece riformulare tutte le perizie: il podestà volle infatti che non si considerassero i danni

sofferti, ma solo che si avesse in riguardo la spesa che poteva occorrere a ciascuno de danneggiati

per risarcirgli o rifabbricargli due camerette, una sopra e l’altra sotto. L’entità dei danni fu quindi

più che dimezzata, stimandosi 12.536 scudi. Tale decisione avrebbe avuto conseguenze negative,

almeno in una prima fase della ricostruzione: a Roma, la Congregazione del Buon Governo decise

di accordare alle località colpite un consistente sussidio per la ricostruzione e le somme elargite

furono proporzionali ai danni certificati; pertanto gli apecchiesi, con le nuove stime, “persero” quasi

2100 scudi35.

32ASP, Leg., Copialettere, 7182 (1789-81), al podestà di Apecchio, 30 giugno e 5 luglio 1781.

33ASP, Leg., Copialettere, 7182 (1780-81), al podestà di Apecchio, 8 luglio 1781: Comandiamo quanto da voi si è

operato rispetto a noti muratori, e l’ordine altresì dato al loro capo di dettagliare all’incirca i gravi danni accaduti a

codesto Paese, lo che per altro deve farsi senza spesa della Comunità, conforme altra volta vi divisammo…

34Lo scudo romano era la moneta più diffusa nel Settecento nella zona. Per avere un’idea del valore di tale moneta, si

può far presente che ad Apecchio, nella seconda metà del Settecento, lo stipendio annuale del podestà era di 48 scudi,

quello del chirurgo di 20 scudi, quello del maestro di scuola di 12 scudi romani.

35ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio,

26aprile 1783: per la precisione 2099 scudi. In realtà Apecchio godette di un sussidio aggiuntivo di 1700 scudi e

pertanto la somma non percepita sarà di “soli” 400 scudi.

Oltre alle perizie, il Melchiorre ed i suoi uomini svolsero una serie di lavori per la Comunità e, una

volta terminato i compiti loro assegnati, anche per alcuni privati, ripartendo per Pesaro solo tra la

fine di dicembre e il mese di gennaio successivo36.

Un podestà poco presente

Nei mesi autunnali ed invernali si diradarono ulteriormente le visite del podestà, che ormai aveva il

domicilio a Mercatello e da lì si recava saltuariamente in Apecchio: tale discutibile sistemazione era

stata di fatto accettata da monsignor Livizzani che, pur esortando il funzionario a recarsi in

Apecchio per risolvere i gravi problemi organizzativi, nel luglio 1781 aveva avallato la nomina di

un vicepodestà durante la sua assenza37. E l’inizio della brutta stagione e la mancanza di abitazioni

adeguate fornivano ulteriori giustificazioni dell’assenza. Ma tale comportamento suscitava non

poche perplessità negli Apecchiesi che rimanevano nelle loro abitazioni o nei ricoveri provvisori,

con tutti i disagi che ciò comportava: nell’ottobre giunsero pertanto dai consiglieri comunali a Sua

Eminenza precise lamentele38, a cui si unì con una missiva anche il notaio Francesco Vagni

(segretario ed archivista) che testualmente scriveva, il 24 ottobre 1781: Gli ordini di Vostra

Eminenza nulla qui si osservano e nemmeno si fanno osservare dal Podestà perché qua su non ci

dimora mai e perciò resta denigrata la giustizia39.

Monsignor Livizzani pertanto ordinò (29 novembre 1781) al podestà di tornare immediatamente in

Apecchio: Vari disordini costì succedono che meritano provvedimento. Non sono stati eletti i

deputati per l’esecuzione dell’editto di 18 giugno passato, onde rimangono inadempiute le

provvidenze che in esso vi sono prescritte. Valerio Tamagnini, che non si trova in grado di

rifabbricare la sua casa per ora, e si trova avere in essa molta quantità di calce, non vuole né

prestarla né venderla a chi trovasi nell’attuale bisogno. Vi è chi ricusa di dar coppi per coprir

quelle case che si sono risarcite per star l’inverno al coperto. Insomma, l’assenza di chi governa è

causa di molti inconvenienti. Portatevi pertanto prontamente in quel luogo e provvedete alle

36ASP, Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), al podestà di Apecchio, 6 gennaio (p. 71r) e 24 gennaio 1782 (p. 79v). I

magistrati di Apecchio cercarono di non pagare la spesa preventivata (cinque scudi) per il viaggio di ritorno, con il

pretesto che il Melchiorri fosse rimasto volontariamente ad Apecchio una volta terminato il suo compito, ma fu loro

imposto da Sua Eminenza di pagare tale recesso, in quanto facente parte degli accordi da lui personalmente presi.

37ASP, Leg., Copialettere, 7182 (1780-81), al podestà di Apecchio, 8 luglio 1781: … Approviamo ancora la

sostituzione di codesto parroco da voi fatta in luogo vostro per quei giorni nei quali vi troverete in Patria, persuaso

ch’egli saprà ben supplire alle vostre veci; ed intanto saniamo, quando faccia di bisogno, tutto ciò ch’egli avesse fatto

in tempo di vostra assenza. E tanto ci occorre dirvi su tal proposito.

38ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera dei consiglieri Ludovico Ercolani e Marco

Ghigi, Apecchio, 9 ottobre 1781.

39ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del notaio Francesco Vagni, Apecchio, 24

ottobre 1781. Lamenta inoltre una serie di problemi organizzativi (mancanza di calce e di coppi per la copertura dei

tetti), da risolvere prima dell’arrivo dell’imminente inverno.

indigenze di quella povera gente, che merita in queste circostanze tutta l’assistenza, e non fate che

su questo proposito abbiano a pervenirci altri ricorsi40.

Il podestà provò a tergiversare: ad Apecchio, per il momento gli avevano procurato solo un casotto

da utilizzare come rifugio sia per lui, sia per il cancelliere, sia per il bargello, inadatto a trascorrere

le lunghe giornate invernali; per giunta in esso si adunava all’occorrenza il consiglio comunale41.

A dicembre arrivarono però ordini precisi da monsignor Livizzani, che non ammettevano scuse: La

vostra assenza dall’ufficio cagiona molti rilevanti inconvenienti, che noi non possiamo più

tollerare. Onde v’imponiamo che torniate subito alla residenza e che non dobbiate più

allontanarvene senza nostra espressa licenza, ed in caso che non sia abitabile l’antico vostro

appartamento, trovatevi in qualche maniera l’abitazione, mentre ad ogni vostro avviso penseremo

perché venga pagata la pigione da chi si conviene…42.

Il dottor Gentili fu così costretto a ritornare in Apecchio, dove affrontò i mesi invernali in mezzo ai

disagi: di questi parla a Sua Eminenza in una lettera dell’inizio di gennaio 1782, in cui

pateticamente insiste ancora nella richiesta di autorizzazione alla permanenza fuori sede43.

All’arrivo della veneratissima di Vostra Eminenza dei 27 scaduto, l’Eminenza Vostra imponendomi

che torni alla residenza, già mi trovava da qualche giorno in questo lacrimevole luogo, massime

per un forestiere, e dove mi tratterrò finché potrò per meramente ubbidire Vostra Eminenza,

giacché non è possibile in questa Terra rinvenire nemmeno una camera nonché l’abitazione,

mentre le riattate non bastano per i paesani, quali stanno all’uso degli ospedali, con tre o quattro

famiglie per casa; dovendo anche jo approfittarmi della metà del letto del mio cancelliere, quale

gode un’angustissima camera, e si sta molto male, non essendoci nemmeno il camino, e volendosi

accostare al fuoco, fa d’uopo godere la compagnia dell’oste e di un fornaio che sotto il medesimo

tetto sono albergati. Si sta anche con notabile pericolo di salute, mentre dopo il flagello tutte le

case di questa Terra sono state riattate, et abitando di continuo nell’esalazioni di fresca calce non

può temersi che male, motivo giustissimo per cui Vostra Eminenza si degnerà tollerarmi che jo

vada e venga, assicurandolo che non risparmio incomodo per trovarmici in qualunque occasione.

Verrà forse Vostra Eminenza informata all’opposto di quello che umilmente le rappresento,

giacché dal Camerale Ministro44 fu da bel principio trovata un’abitazione per il giudice, ed infatti

per tale effetto ne formò l’ a[—]a, ma contemporaneamente ne cedé la metà a questo arciprete,

40ASP, Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), p. 52v, al podestà di Apecchio, 29 novembre 1781.

41ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Luigi Rossi, Apecchio, 30 giugno

1787 (la comunità chiede il rimborso alla Camera Apostolica delle spese sostenute per la costruzione del casotto).

42ASP; Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), p. 66v, al podestà di Apecchio, 27 dicembre 1781.

43ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Ubaldo Gentili, Apecchio, 5

gennaio 1782.

44Il ministro camerale, tale Martinelli, aveva l’incarico di riscuotere le collette “camerali” (cioè quelle per Roma) e di

pagare lo stipendio ai funzionari locali (podestà, cancelliere, bargello), nonché di provvedere ad ogni eventuale spesa

straordinaria, dietro approvazione della Tesoreria (di Legazione o Generale).

quale presentemente vi abita, nella quale però vi è una sola camera competente da letto con una

sala e cucina, che non basta nemmeno all’Arciprete suddetto e sua famiglia e solo vi restarebbe

libero altrettanto nell’appartamento di sopra, dove di presente ci tiene il grano l’Arciprete

medesimo, ma quasi tutti i muri sono stati riattati dopo il terremoto, ed è il tutto a tetto per esser

stata tal abitazione abbassata, ed è in conseguenza impossibile a viverci, massime in tempo

d’inverno in clima così austero. Io per me tutte le volte che mi diano un’abitazione, non dico

decente ma semplicemente da potervi campare coi soliti utensili, son prontissimo tornare alla

residenza, e ricondurvi la mia famiglia, cosa per me di maggior comodo e minor dispendio;

diversamente però son costretto gettarmi a clementissimi piedi di Vostra Eminenza supplicandola a

voler tollerare per l’avvenire come si è degnata per il passato…

E la risposta di Sua Eminenza, che chiuse definitivamente la faccenda, è del 10 gennaio 1782:

Siccome i castighi ch’è piaciuto al signor Iddio mandare a codesto paese col tremuoto sono comuni

all’umanità, così non potete voi restarne esente, ma conviene che <g>li tolleriate cogli altri

abitanti nella maniera che meglio si può. Né dobbiamo noi permettere che stiate lontano dalla

residenza nel tempo del maggior bisogno. La stanza da voi accennataci con lettera de 5 sembraci

sufficiente per voi nella presente circostanza, rimosso che vi sia il grano, e fattovi quei

bonificamene che fossero necesarj. Che se tuttavia non lo fosse, rendetene perspicace il ministro

camerale, e fate che i qualche altro modo supplisca egli alla vostra urgenza. Tanto vi dobbiamo in

risposta. Pesaro, X di gennaio 1782. C. Livizzani presidente45.

Un nuovo podestà

Con la fine della brutta stagione terminò (fortunatamente per tutti) anche la podesteria del dottor

Ubaldo Gentili, di cui abbiamo un’ultima lettera il 4 marzo 1782: perplesso per la sua degradazione

all’ufficio di San Costanzo (evidentemente di livello inferiore rispetto a quello di Apecchio), chiese

a Sua Eminenza spiegazioni, domandando dove avesse sbagliato46. Qualche giorno dopo giunse la

cortese risposta da Pesaro: Al dottor Gentili podestà di San Costanzo fu scritto che con tal

mutazione non fu inteso di degradarlo, trovandosi Sua Eminenza ben servito, ma solamente per

levarlo da quel luogo troppo incomodo47.

Nel mese di marzo pertanto giunse ad Apecchio il nuovo podestà, il dottor Eutizio Luigi Piobbici:

non essendo agibile il Palazzo Apostolico, trovò alloggio a casa dell’Arciprete.

Un primo sussidio

45ASP, Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), p. 72v, al podestà di Apecchio, 10 gennaio 1782.

46ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Ubaldo Gentili, Apecchio, 4 marzo

1782.

47ASP, Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), p. 95r, 10 marzo 1782.

Monsignor Livizzani già nel 1781 (una prima volta il 28 giugno, una seconda il 21 dicembre) aveva

richiesto ai funzionari delle comunità colpite dal terremoto dettagliate relazioni sui danni provocati:

ben presto giunsero tali documenti a Pesaro (sono tuttora conservati nella serie “Terremoto” del

fondo della Legazione di Urbino, nell’Archivio di Stato di Pesaro). Nella seconda richiesta veniva

esplicitamente specificato di quantificare, in base alle apposite perizie nel frattempo fatte, i danni

sofferti dai cittadini non benestanti e dai luoghi pii, conservatori e parrocchie con rendite non

sufficienti a riparare autonomamente i danni48, in vista dell’erogazione di un sussidio da parte della

Sacra Congregazione del Buon Governo (cioè dagli uffici della Curia romana).

Nell’attesa di tale somma, intanto, il 23 marzo 1782 provvide autonomamente la Legazione a

erogare un primo sussidio a favore di coloro che erano stati danneggiati dal terremoto,

coinvolgendo le autorità religiose delle zone colpite (non quelle civili): per Apecchio si trattò della

somma di 470 scudi e 45 baiocchi49 distribuiti dall’Arciprete di quella terra ad una trentina di

cittadini bisognosi50.

Il contrasto con le comunità annesse

In attesa dell’arrivo del sussidio promesso, nell’estate 1752 ci furono forti tensioni nella podesteria,

dato che gli Apecchiesi volevano che contribuissero al pagamento di una serie di spese sostenute

subito dopo il sisma anche le comunità “annesse” (Pietragialla, Montevicino, Baciuccheto, Fagnille,

Montefiore)51, decisamente ostili a contribuire. Tali spese riguardavano la stesura delle perizie

(circa 24 scudi), il restauro della torre pubblica (70 scudi) e la disotterrazione dei cadaveri (8 scudi).

Dato che non si giungeva ad un accordo (le comunità annesse erano disposte al solo pagamento

delle perizie), si decise di demandare la questione a monsignor Livizzani, che ebbe tra le mani i

memoriali degli uni e degli altri, nonché le riflessioni del nuovo podestà di Apecchio, il dottor

Eutizio Luigi Piobbici, che sottolineava l’inconsistenza delle richieste apecchiesi52.

48ASP, Leg., Terremoto, b. 1, passim.

49Il baiocco era un sottomultiplo dello scudo (100 baiocchi = 1 scudo).

50Berliocchi, Apecchio (cit.), p. 323.

51La podesteria di Apecchio nel Settecento era formata da più entità amministrative: alla terra di Apecchio erano

“annesse” le contee di Pietragialla, Montevicino e Baciuccheto, il territorio di Fagnille, una rata di Montefiore; ognuna

di esse aveva i suoi usi, tradizioni, normative, leggi, magistrati: il podestà, residente ad Apecchio, aveva competenza

anche su di esse, ma ognuna era, rispetto alle altre e anche rispetto alla comunità di Apecchio, autonoma e solo in casi

eccezionali si riuniva un “consiglio generale”, le cui decisioni valevano per l’intera podesteria. L’attuale comune di

Apecchio è formato dall’antico territorio di tutte queste comunità e dall’appodiato di Carda, aggiunto nel 1827 al

territorio comunale.

52ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettere del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio,

12 luglio 1782 (e memoriali annessi) e 24 luglio 1782. La richiesta della compartecipazione al restauro della torre si

basava solo sul fatto che, nella campana in essa contenuta, vi era la scritta Octavianus Ubaldini comes Apiculi et

Petragialle, dalla quale gli Apecchiesi arbitrariamente desumevano che le due comunità avessero contribuito

all’acquisto della campana e quindi fossero obbligate a restaurare la torre che la conteneva. Ma, a parte un precedente

restauro a spese della solo Apecchio della torre in oggetto, sembrava evidente al podestà che l’iscrizione indicasse il

nome del committente ed i suoi titoli, non i nomi delle comunità coinvolte nelle spese. Riguardo alle spese per la

dissotterrazione dei cadaveri, le comunità obiettavano che anche le comunità degl’oratori per loro disgrazia hanno

L’opinione espressa dal podestà fu fatta propria da Sua Eminenza che, il 18 luglio 1782 scriveva

che non erano tenute le cinque comunità ricorrenti al riparto delle spese per la torre e per il

rinvenimento dei cadaveri ma solo a quelle delle perizie53.

Il sussidio della Sacra Congregazione del Buon Governo

Il 12 settembre 1782 un’apposita lettera circolare di Sua Eminenza informava le comunità

interessate che era stato stabilito dalla Sacra Congregazione del Buon Governo un sussidio per le

popolazione colpite dal sisma dell’anno precedente (per la precisione per i meno abbienti: nessun

contributo fu previsto per i benestanti) che, per la Legazione di Urbino, ammontò a 38.145 scudi,

così ripartiti54:

scudi

Diocesi di Urbino 3.140

Diocesi di Cagli 24.619

Diocesi di Urbania e S.Angelo in V. 4.014

Diocesi di Città di Castello

– Apecchio, laici

– Apecchio, chiese parrocchiali

– Carpine, laici e chiese parrocchiali

1.771

866

787

118

Diocesi di Gubbio 3.817

Abbadia di Nonantola 158

Diocesi di Montefeltro 538

Diocesi di Fossombrone 79

In tutto 38.145

In vista di tale erogazione, ogni comunità avrebbe dovuto creare un’apposita congregazione (di cui

dovevano far parte anche podestà e massima autorità religiosa) con il compito di stilare gli elenchi

dei danneggiati, in base alla condizione sociale, all’urgenza dell’intervento, ai danni sofferti e alle

sovvenzioni precedentemente ricevute55. L’apposita congregazione apecchiese fu convocata con un

certo ritardo senza aver chiaro il quadro normativo, dato che la circolare del 12 settembre, non

sappiamo per quale motivo, non era arrivata per posta ad Apecchio. Tra i membri prescelti vi era un

battagliero deputato ecclesiastico, don Bernardino Pierucci (che, per quanto è possibile capire dai

documenti in nostro possesso, rappresentava gli interessi delle comunità annesse, le stesse che erano

ricorse a Sua Eminenza nell’estate per non dover contribuire alle spese del restauro della torre di

Apecchio e della dissotterrazione dei cadaveri): costui si scontrò con il podestà e un po’ con tutti

per la determinazione dei criteri in base ai quali distribuire il denaro. In un primo momento lo

avuto queste spese né avevano chiesto ad Apecchio di concorrervi. Né le comunità formavano, come sostenevano gli

Apecchiesi un solo corpo, dato che ciascuna comunità convocava il consiglio nel suo rispettivo distretto.

53ASP; Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), p. 141v, al podestà di Apecchio, 18 luglio 1782.

54ASP, Leg., Terremoto, b. 1, Ripartimento provvisionale di una rata del sussidio che si assegna agl’infrascritti luoghi

del Ducato di Urbino, danneggiati dalle scosse del terremoto seguite nell’anno 1781 (non datato).

55ASP, Leg., Copialettere, ex 7184 (1782-83), al podestà di Apecchio, 27 ottobre 1782.

scontro si accese sulla possibilità di includere o escludere coloro che avessero avuto il precedente

sussidio, quello gestito dall’Aricprete (il Pierucci era favorevole all’esclusione ma il podestà si

opponeva decisamente, facendo riferimento alle istruzioni avute da Sua Eminenza, emanate in data

3 ottobre, che parlavano solo di maggiore o minore impotenza dei danneggiati)56.

Nella riunione successiva il Pierucci pretese almeno che fossero defalcate le somme già percepite

nel precedente sussidio e fosse data la precedenza a chi non aveva avuto alcuna sovvenzione57. La

proposta del Pierucci, che era già stata votata dalla congregazione (avendo ottenuto quattro voti su

sette) fu però bloccata dal podestà, mentre a monsignor Livizzani giungevano petizioni dei

miserabili di Apecchio, che, ostili al Pierucci, richiedevano il suo intervento58: fu deciso infine di

inviare la proposta dal Pierucci, ed un’altra alternativa con divisione in classi dei bisognosi

(precedentemente approvata dalla congregazione apecchiese, ma solo a viva voce), a Roma alla

Sacra Congregazione del Buon Governo ed attendere la decisione di quest’ultima59.

Nel frattempo a Pesaro era arrivata la somma prevista (3 dicembre 1782)60, che però non poteva

essere distribuita finché non fosse pervenuta la decisione della Congregazione romana, che giunse

nel gennaio 1783: era infondata la pretesa del Pierucci di considerare preminente l’esclusione dal

precedente sussidio61 e si approvava il riparto alternativo (ma solo per i laici: per i religiosi pendeva

un altro ricorso, sempre presentato dal Pierucci). L’8 febbraio furono quindi formalizzati per iscritto

sia i capitoli del riparto62 sia il riparto proporzionale, con il quale i danneggiati del terremoto erano

stati suddivisi in classi di rendita: i benestanti erano esclusi; venivano rimborsati gli altri

danneggiati, divisi in tre classi, con una somma inversamente proporzionale ai propri mezzi

economici (gli appartenenti alle tre classi vedevano corrisposto in pratica il 9,30%, il 12,27% ed il

19% del danno sofferto)63.

56ASP, Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), p. 184r, al podestà di Apecchio, 3 ottobre 1782. Si inviava copia della

circolare a stampa (non pervenuta precedentemente), specificando che le sovvenzioni erano date solo a laici e chiese

dello Stato di Urbino e a tutti gli impotenti, non esclusi coloro che avevano già ottenuto la precedente sovvenzione.

ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio, 23

ottobre 1782.

57ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio,

12 novembre 1782: per quanto vedo, il Pierucci tenta spogliare del sussidio i miserabili, ed arricchire i possidenti,

cosa affatto contraria alla mente del Santo Padre.

58ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettere del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio,

12, 16 e 23 novembre 1782

59ASP, Leg., Copialettere, ex 7184 (1782-83), al podestà di Apecchio, 21 novembre 1782 e 28 novembre 1782.

60ASP, Leg., Copialettere, ex 7184 (1782-83), al podestà di Apecchio, 3 dicembre 1782.

61ASP, Leg., Copialettere, ex 7184 (1782-83), al podestà di Apecchio, 19 gennaio 1783 (la decisione della Sacra

Congregazione del Buon Governo era stata comunicata a Sua Eminenza l’11 gennaio).

62ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio, 8 febbraio 1783. Allegato il Piano

formato dalla congregazione deputata della terra di Apecchio per il riparto dei 1653 scudi accordati dalla Santità di

Nostro Signore in sollievo de poveri danneggiati dal terremoto.

63ASP, Leg., Terremoto, b. 1, lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio, 8 febbraio 1783, Catalogo de

Danneggiati della Terra d’Appecchio, e suo territorio dal terremoto dei 3 giugno 1781 distinto in quattro classi, a

seconda del piano approvato dalla Sagra Congregazione del Buon Governo, ed a pieni voti accolto dalla

Congregazione deputata d’Apecchio, tenutasi sotto il d’ 3 febbrajo 1783 colla rispettiva perizia del danno sofferto e

E, finalmente, si riuscì, nell’aprile del 1783, dopo un paio di mesi impiegati a risolvere altri intoppi

burocratici64, a distribuire il sussidio, malgrado l’estrema opposizione del tenace Pierucci, che

presentò, al momento dell’arrivo del denaro ad Apecchio, un’inibizione al segretario affinché non

spedisse le bollette (cioè gli avvisi di riscossione) agli aventi diritto: la popolazione era esasperata e

il Piobbici scrive a Sua Eminenza che si rischiò una vera e propria sollevazione popolare. Il podestà

tranquillizzò comunque gli aventi diritto, respinse l’inibizione perché non fondata ed autorizzò la

distribuzione del denaro65.

Il contegno tenuto dal Piobbici fu approvato in tutto da Sua Eminenza (14 aprile)66 e il podestà,

qualche giorno dopo, poteva scrivere che tutti erano soddisfattissimi del soccorso giunto67.

Si giunse poi, nel luglio del 1783, respinto l’ultimo ricorso del Pierucci, alla distribuzione del

denaro anche agli ecclesiastici68.

Un ulteriore sussidio

La soddisfazione per il sussidio era, almeno a quanto dice il podestà, universale, ma rimaneva il

rimpianto per il pasticcio delle perizie (la cui responsabilità era attribuita al passato podestà, dottor

Gentili) per colpa del quale Apecchio aveva visto notevolmente ridotto il contributo della Sacra

Congregazione del Buon Governo destinato a sollievo dei bisognosi. Ricordiamo che il contributo

era stato in effetti proporzionalmente inferiore a quello che avevano ottenuto altre comunità (le

perizie dei danni sofferti che furono all’Eminenza Vostra umiliate, non descrivevano ne meno in

piccola parte i danni ricevuto, mentre per opera di quel podestà d’allora furono ordinate

bassissime, non volendo che a poveri danneggiati non si peritasse che la sola spesa che poteva

Riparto proporzionale dei scudi ottocento sessanta sei assegnati dalla Santità di Nostro Signore papa Pio VI

felicemente regnante ai danneggiati di Apecchio dal terremoto dei 3 giugno 1781, adesivo alla risoluzione della

congregazione deputata, celebratasi sotto il dì 3 febbrajo 1783, ed in conformità del piano approvato dalla Sagra

Congregazione del Buon Governo

64Sua Eminenza accusava ricevuta del riparto il 13 febbraio 1783 e, dopo una breve attesa (sperava di poter inviare

anche quello delle parrocchie, ma pendeva su questo un ricorso del solito Pierucci, lo trasmise a Roma (ASP, Leg.,

Copialettere, ex 7184, 1782-83, al podestà di Apecchio, 13 febbraio 1783); il 14 marzo vennero gli eletto della

congregazione a Pesaro a prelevare il denaro, ma non avevano le necessarie procure (ivi, al podestà di Apecchio, 14

marzo 1783); il 3 aprile furono finalmente esatti da Marco Ghigi, legittimamente deputato procuratore dalla comunità di

Apecchio, i 1653 scudi previsti per il sussidio (ivi, al podestà di Apecchio, 3 aprile 1753).

65ASP, Leg. Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio, 8

aprile 1783.

66ASP, Leg., Copialettere, ex 7184 (1782-83), al podestà di Apecchio, 14 aprile 1753: Approviamo il contegno che

collo vostra degli 8 del corrente ci avvisate da voi tenuto coll’ordinare che, nonostante la fanatica inibizione fatta

presentare dal Pierucci, si venisse costì alla pronta distribuzione del denaro assegnato a codesti abitanti danneggiati

dal terremoto, giusta al noto dipartimento. Ora attendiamo di sentire che il tutto sia seguito con universale

soddisfazione dei danneggiati medesimi, come ne rinnoviamo ogni premura. Tanto dunque fare che segua.

67ASP, Leg. Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio,

26 aprile 1783.

68ASP, Leg., Copialettere, ex 7184 (1782-1783), al podestà di Apecchio, 10 luglio 1753 (la Sacra Congregazione del

Buon Governo aveva rigettato il ricorso perché insussistente e deciso che si procedesse all’erogazione del sussidio);

Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio, 19 luglio

1783.

ascenderli per fabbricarsi una sola cameretta; che però se le perizie fossero state dell’intero,

avrebbero portato una somma assai più maggiore, ed a proporzione il sovvenimento sarebbe anche

stato di più conseguenza, onde avendosi riguardo anche a questa necessarissima circostanza, non

potrà mai dirsi che questa Terra, attesi i replicati soccorsi, sia stata più degli altri paesi sovvenuta,

ma anzi, come più danneggiata è stata per difetto delle perizie, meno considerata)69.

Si decise pertanto di inviare (giugno – luglio 1783) apposita supplica a Roma, chiedendo di

assegnare una nuova sovvenzione70. Sull’iter della richiesta non siamo troppo informati (la

documentazione si troverà in qualche archivio romano) ma conosciamo il suo esito: nel maggio

1784 giunse ad Apecchio un ulteriore sussidio di 1700 scudi, subito diviso tra gli aventi diritto71.

69ASP, Leg., Lettere delle Comunità: Apecchio, b. 6, 1780-1789, lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio,

28 settembre 1782

70ASP, Leg., Copialettere, ex 7184 (1782-83), al podestà di Apecchio, 10 luglio 1753: E’ ricorsa alla Sacra

Congregazione del Buon Governo coll’annesso memoriale e documenti uniti codesta popolazione, rappresentando che

la somma alla medesima già assegnata in ristoro di danni sofferti dalle memorabili scosse del terremoto non è in verun

modo proporzionata alla quantità di detti danni, facendo quindi istanza che si accordi una nuova sovvenzione. Voi

dunque sul esposto dovrete darci un’esatta e distinta informazione al ritorno de’ medesimi fogli. E tanto eseguirete.

71ASP, Leg. Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Eutizio Luigi Piobbici, Apecchio, 3

maggio 1784.

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